Scritto da Ylenia Cantello
L'OCCIDENTE E LA COMPULSIONE DI SCATTARE FOTO
Molti fotografi, professionisti e non solo, hanno fatto propria la parola d'ordine di immortalare l'attimo fuggente, imposta da una radicata mentalità di formazione culturale occidentale nell'ambito della fotografia e non solo. Ritengono, infatti, che un vero fotografo non possa lasciarsi sfuggire l'attimo unico e irripetibile che ha di fronte.
A ben guardare, però, gli attimi unici e irripetibili sono infiniti e continui, non frammenti separati. Alla fine è il fotografo che decide a quale di questi attribuire valore di “attimo immortale”, a meno che non stia sempre a premere compulsivamente il pulsante dell'otturatore, rischiando però di far perdere valore ai suoi preziosi istanti.
Lo scrittore Italo Calvino descrive questo fenomeno ossessivo nel capitolo "L'avventura di un fotografo" del libro "Gli amori difficili" (Oscar Mondadori, 1993, Milano) quando fa dire al protagonista: "La fotografia ha una senso solo se esaurisce tutte le immagini possibili."
E in effetti, la tecnologia digitale ci permette di riempire tutte le schede di memoria che vogliamo scattando in continuazione, cercando di cogliere una certa luce nel paesaggio, una certa espressione in una persona o un insieme di circostanze che diano significato alla composizione di un momento di realtà.
Ma è davvero questa corsa, questo accanimento a inseguire qualcosa che si pensa ci sfugga, ciò che davvero ci permette di vivere un'esperienza nella sua interezza? Di tutto ciò che si è vissuto cosa rimane? Solo una capacità tecnica da mostrare per accrescere il proprio piccolo ego, o da tenere segreta per paura che altri la copino?
Quanti fotografi di paesaggio o naturalisti sono disposti a posare la fotocamera e restare ad ascoltare il colore del cielo al tramonto o respirare lo sguardo di un camoscio? E quanti a riprenderla in mano quando gli animali selvatici continuano la loro strada o il sole è già passato ad un altro meridiano e la luce è solo quella della propria intima meraviglia?
LASCIARE CHE LE COSE ACCADANO
Credo sia importante che un fotografo di paesaggio e natura impari a fare tesoro di tutte le esperienze non fotografate come arricchimento ed evoluzione del proprio essere. Senza dover rincorrere nulla, senza forzare nulla, ma lasciando che le cose accadano come sono, compresi noi stessi.
Si tratta di rivoluzionare la propria forma mentis e cominciare a guardare il rapporto con lo spazio, il tempo, se stessi e gli elementi naturali in modo diverso.
LA NATURA SVELA LA NOSTRA IMMAGINE AUTENTICA
E quando siamo in sintonia, semplicemente, con ciò che c'è, accadono cose straordinarie perché la natura sembra mettersi a nostra disposizione. Possiamo godere della libertà di scattare o meno la foto perché quell'immagine è viva e presente dentro di noi e ci dà una pienezza che commuove e racconta di un legame profondo con la natura.
Ma possiamo fare anche qualcosa in più: donare quella foto agli altri. E allora non si tratta più dell'attimo fuggente ma di un tutto presente in noi che ci accompagna, senza pressioni, senza giudizi, senza ansia, ed ha il gusto della nostra immagine più autentica che ci connette con gli altri.
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